Pubblicato da: Stefano Re | 2 luglio 2021

Una mia riflessione sulla libertà

Pubblicato da: Stefano Re | 29 Maggio 2021

Nuovo articolo su Calciomercato.com

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Pubblicato da: Stefano Re | 11 dicembre 2020

Su Paolo Rossi

Un mio articolo su Calciomercato.com

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Pubblicato da: Stefano Re | 27 Maggio 2020

RIFLESSIONE SU FEMMINICIDIO ED EDUCAZIONE

Pubblicato da: Stefano Re | 4 aprile 2020

La camicia

Sono nato con la camicia e non so perché sia successo proprio a me. Pensavo di essere uscito dal grembo di mia mamma proprio con una camiciola addosso e quando mio nonno mi ha rivelato che come tutti i bambini ero nato nudo, ci sono rimasto male. Eppure era colpa sua se mi ero messo in testa quella roba della camicia, lui che ogni volta mi ripeteva: “Caro Giacomo sei proprio nato con la camicia”. Ma che cosa voleva dire, se poi mi aveva spiegato che ero nato nudo? Un giorno me lo chiarì la nonna, quando tornai a casa con le ginocchia rovinate, uno zigomo fratturato e un dente in meno, proprio lì davanti dove, se spinge, ci esce la lingua. Avevo attraversato la strada con la mia bicicletta fantasticando di essere Gimondi, ma ahimè non avevo guardato né a destra né a sinistra e un’auto mi aveva preso in pieno, senza che avessi nemmeno il tempo di frenare o di scansarmi. Bum, mi ero ritrovato qualche metro più in là in piedi e con le lacrime agli occhi. Non ci credeva nessuno e nemmeno io ci credevo, ma ero in piedi e vivo. La nonna quando mi vide ripeté quella frase e alla mia richiesta di spiegazione mi rispose che solo i fortunati nascono con la camicia. In effetti quella volta avevo avuto fortuna. 

Crebbi come molti bambini passando un’infanzia felice, ma crescendo mi accorsi che quella camicia cominciava ad andarmi stretta. Di colpo le cose presero ad andare male, finché arrivò quel marzo, di quel lontano duemilaventi, quando un virus cominciò a spargere la sua influenza per il mondo e in poco tempo si ammalarono quasi tutti e tra questi i miei nonni, che per una brutta polmonite chiusero gli occhi per sempre. Ricordo quel giorno con tristezza, ma soprattutto lo ricordo con rabbia, perché il governo aveva decretato l’isolamento per tutti e io dovevo stare in casa senza poter uscire, e loro morirono senza nemmeno li potessi salutare e abbracciare. Sono ingiustizie, queste! Ero alla finestra e pioveva, i fiori cercavano di spuntare sull’erba non ancora sistemata, le gemme si affacciavano sui rami come piccoli baci lanciati al vento. Un gatto dormiva sornione sotto una pensilina di fortuna. La camicia appesa allo stendino era lacerata come una ferita sanguinante. Tutto sembrava perdersi nell’oblio, solo il cuore era lì, che batteva a tratti e si mostrava in tutta la sua sofferenza.

Sono passati anni da quell’evento ed io sono ancora qui, alla finestra, ci passo ogni mattina e ricordo quel momento, ricordo i nonni, ma oggi il sole alliscia l’erba, le gemme sono foglie accarezzate dalla brezza, i fiori sono sbocciati tra colori vivi e profumi celestiali. C’è uno scoiattolo, di quelli grigi, sgranocchia un’arachide e mi guarda con quegli occhietti che ricordano gli occhi vispi di mio nonno. Il gatto dorme felice all’ombra di un piccolo platano. La nonna mi raccontava che il platano è l’albero dei sogni, perché sotto, all’ombra è bello dormirci. E io spesso mi ci appisolo, sotto quell’albero e so che loro, i miei nonni sono lì con me, mi proteggono, mentre la nonna alla macchina per cucire mi tesse certamente una nuova camicia.

Stefano Re

Pubblicato da: Stefano Re | 3 aprile 2019

Insipienza

.Un mio racconto sul Caffé letterario.

Clicca qui per leggere: INSIPIENZA

Pubblicato da: Stefano Re | 22 marzo 2019

Esperienza

Si fermò ad un metro dalla pianta. Voleva attaccarsi al ramo più basso. Fece due passi e saltò, ma la spinta fiacca gli fece mancare l’obiettivo. Non si diede per vinto. Bastava darsi più spinta. Ci provò nuovamente e mancò ancora l’obiettivo. “Rinuncia”, gli disse un vecchio con la schiena appoggiata ad un albero. “Perché dovrei?” rispose torvo. “Quel ramo è troppo in alto”. “E quindi? ” disse riprovandoci. “Hai visto? L’hai mancato ancora”. “Se fossi giovane ci proveresti anche tu”. “Fino alla morte – disse il vecchio – Ma per esperienza ti dico che non ci riuscirai”. Mi fai pena” aggiunse il giovane. “Certo, ma non sai quanto mi diverte osservare i tuoi inutili sforzi”.

Stefano Re

Pubblicato da: Stefano Re | 3 ottobre 2018

E’ per colpa di una mano

Da un’idea (più di un’idea!) di mio figlio Lorenzo, torno ad una vecchia passione: l’horror. (S.R)

Finalmente un po’ d’acqua!

Dicevano così i vecchi del posto, per lo più agricoltori, che di anno in anno avevano visto scomparire le stagioni, come se Dio si divertisse a cambiare il corso della natura.

Erano passati già tre mesi senza che piovesse, un po’ troppo per l’arsura della terra.

Ora quelle nuvole nere come antracite avevano riversato acqua sulle strade e sulle campagne, ma data la violenza delle precipitazioni, molte rogge erano esondate creando diversi grattacapi.

– Come facciamo? Ci bagneremo tutti – disse Paolo all’amico che stava armeggiando con un ombrello mezzo rotto.

– Usciamo lo stesso – recitò Andrea senza pensarci. – Non possiamo fare altrimenti.

– Ma abbiamo soltanto quello stupido ombrello!

– Meglio di niente.

Andrea e Paolo si erano conosciuti in prima media, in una calda mattina di settembre e si erano seduti uno a fianco all’altro, mentre le professoresse enunciavano le solite raccomandazioni di inizio anno.

Da lì era stato un crescendo di rapporto, di intese e sguardi di sottecchi, di avventure sempre più al limite della legalità.

Si erano iscritti ad un liceo scientifico di Milano e nei minuti di intervallo avevano conosciuto Ajar, un ragazzo italiano con simpatie per l‘oriente.

– Ma qual è il tuo vero nome? – gli avevano chiesto un giorno.

– Matteo, ma preferisco Ajar.

Ajar frequentava con i genitori un tempio buddhista; gli avevano insegnato quanto fosse necessaria la purificazione dell’anima, ma finiti quegli incontri spirituali preferiva passare le ore in un parco a nord della città, dove aveva conosciuto spacciatori che l’avevano avviato ad un buon giro di vendite.

Ajar li aspettava all’ingresso del parco. Erano in ritardo, una cosa che faceva imbestialire il ragazzo.

– Eccovi finalmente. E’ l’ultima volta che vi aspetto così a lungo.

– Pioveva troppo – disse Paolo.

– La pazienza non è la via dell’ascesi? – chiese Andrea col sorriso sulle labbra.

Ajar gli lanciò un’occhiataccia e si avviò.

Dopo dieci minuti di cammino tra le piante del parco, con la pioggia che picchiava sulla pelle pungendo come fittissimi aghi, e l’acqua delle pozzanghere che schizzava sui pantaloni, i tre arrivarono ad un ponte di legno che scavalcava un fosso che con un balzo nemmeno troppo impegnativo si sarebbe potuto tranquillamente saltare.

– Aspettatemi qui.

Ajar si allontanò di qualche metro e tra gli arbusti di un cespuglio tirò fuori un sacchetto con alcune pasticche azzurrine. Ne prese una e la passò ad Andrea:

– Portatela dove vi ho detto. Alle diciotto vi voglio qui con i soldi.

– Quant’è la nostra percentuale? – domandò Paolo.

– Troppe domande. Venite stasera e lo vedrete.

Paolo fece una smorfia fin troppo eloquente, poi diede di gomito ad Andrea e si incamminò.

Fu l’ultima volta che videro Ajar.

Con la pasticca in tasca, Andrea sembrava più nervoso del solito.

– Sei troppo agitato, Andrea! – lo rimproverò l’amico. – Così ci beccano.

– Non sono agitato – disse prima di tirare un bel respiro. – è che vorrei provarla.

– Ma sei scemo?

– Sono stanco di portare avanti e indietro le pasticche per quell’imbecille di indiano.

– Sai benissimo che è l’unico modo per fare qualche soldino. E basta prenderla una volta per dare seguito alle altre.

Fecero alcuni passi senza dire una parola, poi Andrea si arrestò.

– Io la provo!

Prese la pasticca in mano e la infilò in bocca.

Cadde immediatamente all’indietro tenendosi il collo, mentre Paolo cercava di capire cosa stesse succedendo.

Andrea aveva gli occhi rivoltati e dalla bocca sembrava uscisse un unghia simile a quelle di una strega.

– Che succede?  – urlò Paolo.

Andrea non riusciva a parlare e dimenava le gambe come se fosse preso da una crisi epilettica.

– Cos’hai in bocca? – gridò.

Si sentì uno schiocco secco, come di ramo spezzato e dalla bocca di Andrea uscirono piccoli pezzetti di osso mandibolare.

La bocca di Andrea si accartocciò su se stessa come quella dei vecchi appena tolgono la dentiera.

Gli occhi gli si affossarono nelle cavità oculari mentre il naso si staccò di netto come se qualcuno l’avesse tagliato con una lama invisibile.

Dal quel che rimase della bocca, uscì una mano con dita affusolate e nodose; le unghie lunghe bisticciavano tra loro tenendo un ritmo secco come il suono di nacchere per una danza funebre; al posto del polso c’era una faccina di bambino appena nato, e al centro della faccia una bocca disgustosa che emetteva suoni e parole gutturali:

– Questo succede a chi si droga se ti prende la mano! – disse prima di emettere un ghigno infernale.

Paolo non riuscì a muoversi. Era terrorizzato.

La mano, che era grande come una scarpa,  accelerò come un ragno e tentò di avvolgere con le dita le caviglie di Paolo. Il ragazzo si ritrasse appena in tempo, ma un unghia riuscì a tagliarlo proprio a ridosso del tendine d’Achille.

Paolo urlò mentre un rimbombo spaventoso fece tremare la terra.

– Il terremoto! – gridò qualcuno.

In effetti la terrà si aprì e la mano vi si gettò nelle viscere. Prima di scomparire del tutto urlò:

– Ricordati: la droga distrugge tutto quello che incontra, ma chi uccide realmente è la mano che vende!

Quindi la terra si richiuse; restò solamente il battito stentoreo della pioggia.

di Stefano Re

Pubblicato da: Stefano Re | 2 agosto 2018

Intervista a Roberto Pezzini – Cantautore

Foto Rob

Ciao Roberto. Spiegaci velocemente chi sei

Sono un cantautore di 39 anni originario di Vigano Certosino (Gaggiano).  Da 9 anni vivo sui colli umbri, a Gubbio.
A marzo è uscito il mio primo album “Sostrano”. Potete trovarlo su tutte le piattaforme digitali e in streaming.
La copia fisica del cd è disponibile su richiesta scrivendo alla mail robipezzi@yahoo.com

Quando hai cominciato a scrivere canzoni e perché?

Ho scritto la prima canzone a quattordici anni.
Ero un ragazzo timido, malinconico, chiuso, pieno di insicurezze e paure. Ho cominciato a scrivere canzoni perché così potevo raccontare le cose che sentivo, e siccome ero nel periodo adolescenziale, erano principalmente tristi.

Quanto, dei luoghi vissuti, c’è nelle tue canzoni?

Non credo molto. Cioè, si può dire che forse entrano indirettamente. Nel senso che magari una canzone è nata in un luogo particolare che mi ha influenzato, ma poi non è che nel brano abbia parlato per forza di quel luogo.
Non è una regola fissa, però. Quindi…

C’è qualcosa che ti distingue dagli altri cantautori?

A livello artistico non mi interessa molto. O meglio, lascio che siano gli altri a dirmelo. Io se mi metto a pensare a cosa mi distingue dagli altri va a finire che poi mi sento superiore. Oppure il contrario. E questa cosa non mi piace e non mi fa bene.
Il paragonarsi in generale per me non è sano. Voler emulare, discostarsi… Sono tutti pensieri che non mi aiutano, che mi portano fuori da me.
Io non cerco né di assomigliare a qualcuno, né di distinguermi. L’unica cosa che per me ha senso fare è cercare di essere aderente a quello che sono e che sento. Ed è un percorso senza fine, perché lo spirito è tale: senza fine.

Quali obiettivi persegui?

Se ti rispondo in maniera semplicistica, ti dico che il mio obiettivo è vivere di musica.
Se invece vogliamo entrare un po’ più nel dettaglio… sí, ok, voglio vivere di musica, ma in realtà quello che mi piacerebbe molto è che la mia musica serva, che sia un canale, che abbia una funzione o che sia d’aiuto per chi l’ascolti.
Non so poi che tipo di aiuto ci possa essere quando canto “mi sa che la tua ragazza è una puttana”, ma a volte ci può anche stare che uno si faccia anche una risata, no?
Comunque, vogliamo dirla tutta? Mi sto rivolgendo a Dio perché spero che sia lui a guidare il mio progetto. In che modo? Ancora non lo so, ma lo sto cercando.

Sostrano è un disco di denuncia ma sempre positivo… condividi questa lettura?

La positività la puoi sentire forse nella melodia, o nel modo che ho di esporre un concetto. Ma in questo caso la positività è un mezzo, che serve a fare capire meglio quello che ti voglio dire, in maniera più chiara. Se ti dico che il mondo in cui viviamo è uno schifo, che ci sono un sacco di cose che non vanno, e te lo dico in maniera triste, pesante e pessimistica, il messaggio ti arriva in un certo modo. Se invece te lo comunico in un modo più “leggero”, il significato rimane quello, ma il messaggio ti arriva meglio. O almeno credo.

In una canzone dici che l’unica sostanza (utile) è la speranza. Cosa intendi?

In realtà dico “non esiste sostanza sostituibile con la speranza”.
È una frase contenuta nel mio singolo “Meglio le scimmie con le banane” (trovate il video su YouTube, n.d.r.). Nella canzone questo verso si riferisce all’abuso di sostanze stupefacenti, che spesso è legato alla mancanza di strumenti per vivere una vita in pienezza. “Non mi sento”, “Non mi riesco a divertire”, “Voglio provare altre sensazioni”, “Vedo tutto nero”, “Non vedo un futuro”, quindi mi drogo. Come via di fuga.
Ovviamente questi sono solo esempi. Non è detto che sia sempre così. Ma purtroppo ci sono delle persone che, private della speranza della vita che avrebbero desiderato, si sono lasciate andare.
Ma la soluzione non sta lì.

Questo è un album spirituale, cos’è per te questa religiosità?

Sono contento che emerga!
Qui però si aprirebbe un discorso lunghissimo…ma se devo risponderti in due righe ti posso dire che l’essere umano è come prima cosa uno spirito immortale e divino. È un dato. E nella mia vita questa questione è una responsabilità e un’urgenza su cui indagare a fondo.

Hai la capacità di essere semplice ma mai banale… cosa ti aiuta in questo?

Niente. Sono così.
Ed oltre ad essere così, faccio anche in modo di essere così. Pensare in modo semplice. Che paradossalmente invece è difficile, per come siamo abituati a perderci in mille paranoie.
E poi l’essere banali secondo me non ha niente a che fare con l’essere semplici.
La banalità ha a che fare con la superficialità, l’omologazione, l’assenza di curiosità… La semplicità ha che fare con la purezza, la comprensione, la leggerezza, ecc… stiamo parlando di due cose che stanno su piani differenti.
Che so, per esempio, guarda un bambino che gioca: non fa cose complesse, difficili, articolate… fa cose semplici. Ma la magia che hanno le cose che fa, è grande. Lì non c’è banalità.

Hai fatto più fatica a scrivere i testi o le musiche delle canzoni?

Testi e musica molto spesso viaggiano paralleli, nel mio processo creativo.
E “fatica” non è la parola adatta a descrivere quello che sento in quel momento. Che so, mi è capitato di trovarmi in difficoltà qualche volta nella ricerca della giusta soluzione melodica e di senso nella costruzione di una canzone, riprovandola anche centinaia di volte, ma non ho provato fatica a fare quello, perché è quello che mi piace fare. Quindi: no alla “fatica” nello scrivere i testi e le musiche!
Sembra uno slogan per una televendita

Come è il mondo della canzone?

Come tu lo crei
Roberto sta vivendo un buon momento musicale, ma dietro questo momento ci sono  fatica e  voglia di arrivare, studio e applicazione. Ecco i suoi ultimi risultati:

– Vincitore del “Concorso Musicale Internazionale Crisalide 2015”

– Vincitore del Premio Miglior Testo al “Limatola Festival – Voci Emergenti 2016”, conferito da All Music Italia

– Vincitore del premio speciale Prisma al “Limatola Festival – Voci Emergenti 2016”

– Vincitore del Premio Radiofonico al “Festival dell’Adriatico 2018 – Premio Alex Baroni”

– Primo Premio al “Concorso canoro nazionale Musica è 2018” (categoria Over 36)

– Vincitore del premio Miglior testo al “Sottotoni 2015”

– Secondo Classificato al “Concorso canoro nazionale Musica è 2015”
– Secondo Classificato al “Verona Pop Festival 2015 – Concorso canoro per autori e interpreti”

– Secondo Classificato al “Festival Voci D’oro 2015 – Concorso canoro nazionale”

– Terzo classificato al “San Jorio Festival 2016”- Finalista al “Premio Inedito – Colline di Torino 2018”

– Finalista al “Premio Valentina Giovagnini 2015 – Concorso canoro nazionale per voci nuove”

– Finalista al “Festival musicale nazionale La Chance 2015”

– Finalista al “San Jorio Festival 2015”

– Finalista al “Festival nazionale del Caffè Concerto 2015”

– Finalista al “Premio Lucio Dalla 2015”

– Finalista al “Festival Music Week 2015 – Concorso della canzone d’autore”

– Semifinalista al “VideoFestival Live 2018”

– Semifinalista al “Premio Valentina Giovagnini 2016 – Concorso canoro nazionale per voci nuove”

– Semifinalista al “Varigotti Festival 2015 – Premio nazionale per la canzone d’autore emergente”

– Semifinalista al “Premio nazionale musica d’autore – Cantautori Bitonto Suite 2014”

– Semifinalista al “VideoFestival Live 2015”

– Semifinalista al “Musica Controcorrente 2015 – Concorso nazionale della canzone d’autore”

– Semifinalista al “Il MusicAle 2014”

– Semifinalista al “Botticino Music Festival 2014 – Concorso nazionale per cantautori ed interpreti di brani originali”

(a cura di Stefano Re)

 

Pubblicato da: Stefano Re | 2 agosto 2018

Sostrano, l’album di Roberto Pezzini

Finalmente sono riuscito ad ascoltare l’album SOSTRANO di Roberto Pezzini. L’ho ascoltato con interesse e curiosità e l’ho fatto per due motivi: il primo perché è l’ultimo lavoro di un mio compaesano, e questo dimostra la forza creativa di un paese come Vigano Certosino; e poi perché mi aveva colpito il brano di lancio: “Meglio le scimmie con le banane”, brano che mi era sembrato ben costruito e con un testo mai banale. Ovviamente non entro nel merito musicale, anche perché non ne ho le competenze; mi soffermo sui testi, almeno su questo penso di poter dire la mia. Roberto ha la grande capacità di giocare con le parole, di utilizzare una lingua semplice ma efficace, di dare vita ai termini che utilizza. Ci sono rime che si aprono a più livelli semantici e che sfuggono spesso al rischio della banalità. I testi sono riflessivi, ma universali, partono dall’esperienza del quotidiano, quasi rifiutando la straordinarietà, per poi svoltare verso una straordinarietà del quotidiano. “Sostrano” non è un titolo banale; qui non c’è quella immatura presunzione di essere diverso, c’è piuttosto la volontà di esaltare l’unicità e la personalità del singolo contro l’omologazione che schiaccia e ci riduce a burattini che cercano soltanto il riconoscimento della massa, trasformando l’umano in un prodotto globale e consumistico. Roberto Pezzini si spoglia e chiede all’ascoltatore di spogliarsi a sua volta per riscoprire l’autenticità . I testi assumono registri differenti, a volte evocativi e struggenti (La cartolina), altre volte riflessivi, altre volte aggressivi, ma di una aggressività mai volgare o pessimistica. Si parla di speranza in questo album! Si evoca una positività mai cieca, una positività che il mondo stesso ricerca. Ascoltate l’album… ne vale la pena.
Sostrano

 

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